Samuel Lo Gioco
Francesco Sani
Viviamo in città pensate per le auto e con quelle effettuiamo la maggior parte degli spostamenti urbani, benché, entro i sei chilometri, è stato dimostrato che non sia il mezzo di trasporto più conveniente.
I maggiori centri urbani hanno negli anni accentrato funzioni decisionali nell’ottica della razionalizzazione di spazi e personale, in parallelo con una concezione urbanistica che, dal secolo scorso, ha previsto la concentrazione dei servizi nei centri storici e quella delle attività produttive nelle cinture esterne.
Qui si sono poi sviluppate città satelliti vere e proprie da cui si muovono migliaia di persone.
I recenti investimenti in mobilità pubblica hanno alleviato in parte il problema, ma è lo smart working che può contribuire a ridurre significativamente l’inquinamento da traffico.
Già alcuni anni fa Ricardo Semler, illuminato CEO della multinazionale brasiliana SEMCO, aveva deciso di rivoluzionare la sua azienda permettendo ai lavoratori di decidere una modalità di lavoro non legata alla presenza fisica in sede: “Perché abbiamo costruito questi grandi uffici, per voi o per il nostro ego? Perché impegnare ore e ore del vostro tempo per farveli raggiungere? Perché impegnare le Risorse Umane per correre dietro ai nostri dipendenti? Ne abbiamo 5.000…”.
La riorganizzazione degli spazi di lavoro.
Nel cambio di paradigma diventa un concetto molto flessibile quello della postazione, che non è più assegnata ad un singolo ma spesso condivisa.
Il luogo di lavoro non è identificato con “la mia scrivania” e il layout dei nuovi uffici deve essere progettato per permettere di muoversi da uno spazio all’altro a seconda dell’attività da svolgere.
Si chiama “Activity based working” e in Italia ha portato grandi realtà anche a un ripensamento nella gestione dei propri asset immobiliari, riuscendo a razionalizzare i mq necessari e allo stesso tempo a creare dei luoghi più aperti e attrattivi per i talenti.
Con il cambio generazionale – Millennials e Generazione Z nel mondo del lavoro – si prospettano scenari interessanti per le aziende.
Il cambio generazione.
I nuovi colleghi Millennials o Generazione Z.
Numericamente, nel futuro prossimo, i nati tra il 1985 e 2000 saranno un terzo degli occupati.
Non è solo per un ambiente più eterogeneo anagraficamente (quello è naturale), bensì per valorizzare talenti che maneggiano la tecnologia in maniera impensabile per tutte le generazioni precedenti.
Il saper sfruttare competenze tecnologiche avanzate, App e social anche in ambito professionale, abbinato all’uso quotidiano di questi strumenti, non sarà tuttavia privo di ripercussioni.
Probabilmente si parlerà di “integrazione” o “contaminazione” tra vita privata e lavoro rispetto alla cosiddetta “conciliazione” odierna.
Non solo per loro tuttavia, lo smart working è già per tutti uno strumento incredibile di conciliazione famiglia/ lavoro, quello che è imprescindibile, per chi vorrà lavorare “ovunque”, diventano le infrastrutture digitali.
Un talento non ha necessità di essere presente fisicamente in sede ma di una connessione rapida per poter operare efficacemente da remoto pur continuando a vivere su un’isola o in un paese dell’Appennino.
Samuel Lo Gioco e Francesco Sani