Francesco Sani

Francesco Sani

Samuel Lo Gioco

Samuel Lo Gioco

La grande pandemia da Coronavirus ha costretto milioni di italiani a lavorare da casa e nel linguaggio comune è entrato il termine smart working. Quello che in realtà la maggior parte delle persone hanno fatto è home working, perché il primo ha caratteristiche ben individuate dalla normativa, in primis un contratto che ne identifica le modalità e i tempi. Nel nostro paese, tuttavia, i primi progetti sul lavoro agile sono precedenti all’entrata in vigore della Legge n. 81/2017. Grandi aziende, gruppi bancari o assicurativi decisero di iniziare a sperimentarlo nonostante il vuoto legislativo, rifacendosi, per la disciplina, ad accordi sindacali specifici. In assenza di legislazione in materia, rimanevano però degli aspetti importanti da chiarire allora quali, ad esempio, il controllo dei dipendenti, e la questione legata alla salute e sicurezza in particolare in caso di infortunio di un “lavoratore agile”.
Un salto culturale per il management.
Se da un punto di vista normativo è stata colmata una falla, quale ostacolo resta da rimuovere per diffondere sempre di più lo smart working “contrattualizzato”? In primis è necessario un forte investimento sul “change management”. Un salto culturale a tutti gli effetti all’interno dell’organizzazione aziendale, dove persiste la difficoltà da parte dei manager ad accettare questo modello, con molti dirigenti che ritengono ancora necessaria una vicinanza fisica con i propri collaboratori. Si tratta invece di comprendere quanto possa essere innovativo e positivo un modello “responsabilizzante”, fondato su rapporti più autonomi, gestiti “a distanza” e basato su obiettivi da raggiungere. Si giudicano i risultati, non il tempo passato in ufficio. In questo la tecnologia è un facilitatore per l’adozione dello smart working, grazie alla diffusione di software di misurazione dei key performance indicator, ovvero gli indici di andamento dei processi aziendali.
La leadership emotiva.
Senza dubbio gli aspetti sopracitati necessitano di manager che hanno saputo sviluppare un’intelligenza emotiva in grado di comunicare una cultura aziendale basata sulla leadership individuale e responsabile.
Un leader, infatti, oggi è una persona che sa guidare un gruppo emotivamente verso gli obbiettivi, individuali e aziendali. Inoltre, ha la capacità di creare altri leader, ovvero collaboratori responsabili che lo seguiranno nel momento di scelte importanti per l’impresa indipendentemente dal suo controllo. In questo, le intuizioni di Adriano Olivetti restano a tutt’oggi un grande esempio di manager illuminato.
Il ruolo della tecnologia.
Un altro aspetto che sta emergendo – e comporterà una rivoluzione pari a quella che ha generato Internet venti anni fa – sono le tecnologie della “realtà aumentata”: spazi virtuali, intelligenza artificiale, IoT e robotica… Cosa aspettarsi per il futuro, dato che la tecnologia è una leva dello smart working? Probabilmente andremo oltre la semplice connessione, per un’esperienza di lavoro da remoto ma su un piano diverso dal reale. Stiamo parlando di essere presenti in ufficio ma non fisicamente.
Nel 2014 Facebook ha acquisito l’azienda di visori Oculus e a cosa servisse questa operazione al social network più famoso lo abbiamo visto in tempi più recenti con il progetto “Spaces” (dal 2019 ribattezzato Facebook Horizon). Il nuovo mondo del social è accessibile adesso grazie al visore Rift, abbinato alla creazione di un avatar dal proprio profilo. L’applicazione, oltre a far entrare virtualmente in contatto con altri utenti, consente di vedere video a 360°, fare chiamate o sfogliare documenti. Ora sarebbe un gran peccato se Mark Zuckerberg continuasse a sviluppare innovazioni solo per vendere meglio spazi pubblicitari… Però, per quanto ci riguarda, viene naturale chiedersi come sarà utilizzata questa tecnologia nel mondo del lavoro. Già piloti di aerei e capitani di navi vengono addestrati utilizzando la tecnologia VR, ma potrebbero esserci benefici per la vita professionale di tutti in azienda. Pensiamo al supporto avanzato in attività di manovalanza, in cui con una telecamera frontale e l’Oculus un assistente da remoto potrà affiancare l’operatore in assistenza live. E ancora, faremo brainstorming in una meeting room virtuale mentre ci troviamo da tutt’altra parte o visiteremo con il nostro avatar gli uffici, anch’essi virtuali, di una filiale estera. Se questo fosse uno scenario futuribile quanti viaggi si risparmierebbero, evitando di prendere aerei per spostare collaboratori da una sede ad un’altra? La collaborazione faccia a faccia sarà la stessa, l’unica differenza è che non servirà alcun viaggio per concretizzarla. Oltre a evitare spese di trasferta ha un’implicazione green, contribuendo alla riduzione dell’inquinamento da emissione di Co2. Di fronte a questi scenari ben s’intuisce quanto sia necessario un investimento pubblico in infrastrutture digitali che permettano in tutte le realtà geografiche di superare il digital divide che causa grandi disparità nell’accesso alle tecnologie che definiranno il futuro economico e sociale di aziende, istituti formativi e persone.

Samuel Lo Gioco e Francesco Sani