Francesco Sani

Francesco Sani

Samuel Lo Gioco

Samuel Lo Gioco

 Ci sono barriere tecnologiche nelle nostre aziende per la diffusione dello smart working? Se parliamo dei giovani non si riscontrano grandi difficoltà, gli utenti imparano velocemente i nuovi strumenti, anche perché ormai nel mercato del lavoro stanno entrando sempre più “nativi digitali”. Capita invece che le aziende di stampo tradizionale comprino soluzioni tecnologiche avanzate e poi le forniscono ai dipendenti senza formazione, perdendo quindi la possibilità di sfruttarne appieno il potenziale. Quindi, spesso le barriere tecnologiche sono conseguenti di quelle culturali che impediscono a chi prende la decisione di attuare o meno lo smart working per i propri collaboratori. Quando il management non è “tecnologico”, difficilmente comprende come si possa lavorare efficacemente a distanza.
Strumenti per lavorare in team da remoto.
La pandemia ha costretto molte realtà italiane ad un esperimento non volontario di lavoro da remoto con le aziende trascinate dall’attualità. Alcune erano già strutturate e hanno esteso lo smart working già contrattualizzato, altre lo hanno sperimentato per la prima volta con improvvisazione, ma voglia di arrangiarsi in qualche modo. La tecnologia ha supportato il remote working ma bisogna prestare attenzione agli strumenti per lo svolgimento dell’attività, l’accesso ai dati aziendali dall’esterno richiede software adeguati. Skype in versione free non è ideale, tra l’altro è una delle piattaforme più hackerate e in termini di tutela da G.D.P.R./2016 non sappiamo su quali server è ospitato. Consigliate quindi soluzioni con licenze intestate all’aziende acquirente, in cui da contratto è ben specificato l’appartenenza e riservatezza, meglio ancora se la licenza sia fluita tramite server proprietari. Anche WhatsApp è sconsigliata, perché i dati non sono al sicuro. Per le video conferenze c’è stato un boom di download di programmi come Zoom oppure Hangout per le chat collaborative in ambiente Microsoft.
Le piattaforme Unified Communication and Collaboration.
Attualmente, gli strumenti più evoluti per lo smart working sono le piattaforme di comunicazione e collaborazione in cloud. Riguardano un mercato dalle importanti prospettive di crescita, superando l’immaginario comune che abbiamo quando entriamo in un’azienda di trovare la centralinista e i telefoni in ogni ufficio. Il “digital divide” ha rallentato la diffusione del cloud in Italia proprio nel momento in cui, dopo Internet, è il “mondo del cloud” il più importante salto tecnologico contemporaneo. Si parla così di UCC, “Unified Communication and Collaboration”, software che in una unica dashbord sostituiscono tutti gli strumenti usati abitualmente, come Skype per la messaggistica istantanea, Zoom per le videoconferenze, il calendario di Google, le App di messaggistica, il telefono… Quindi il miglioramento della rete permetterebbe a questo servizio di prendere campo rispondendo all’esigenza di una comunicazione aziendale più efficace. In un mercato che necessita di velocità si ottimizza il processo unificando due infrastrutture: quella della rete di telecomunicazioni con quella tecnologica. Ecco che il problema del digital divide si presenta come un ostacolo per ottenere processi aziendali allineati e maggiore fluidità delle comunicazioni, perché la mail è ormai da considerarsi obsoleta quanto spedire una raccomandata alla posta.